Alimentazione: rappresentazione e ritualità.

Alimentazione: rappresentazione e ritualità.

di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia

Il cibo è vita, ma qualche volta è anche morte. 

 

download (9)Nelle rappresentazioni artistiche possiamo osservare l’unicità del mangiare e del bere, vissuta come elemento indispensabile dei giorni di festa, in quanto strettamente connessa al diffondersi di allegria tra la folla. Il mangiare e la tristezza, infatti, sono incompatibili: «Il banchetto celebra sempre la vittoria, e questo è un tratto caratteristico della sua natura. Il trionfo del banchetto è universale: è il trionfo della vita sulla morte. In questo caso è equivalente del concepimento e della nascita. Il corpo vittorioso assorbe il mondo vinto e si rinnova»[1]. Non vi è nessun messaggio collegato al nutrimento e all’assimilazione del cibo, come fonte di energia e vitamine utili al fabbisogno giornaliero umano. Le scene proposte dall’arte non riproducono episodi di vita quotidiana, e questo ci lascia intuire come fosse squilibrata l’alimentazione di quei tempi. I cibi che vediamo rappresentati in affreschi e quadri riportano scene conviviali a cui partecipano o nobili o il popolo, mai insieme. Il mangiare insieme, infatti, è simbolo del condividere uno stile di vita, del far parte dello stesso rango o classe sociale, inteso, quindi, come un atto strettamente familiare. Ad esempio citando il lontano oriente, nell’antica India invasa dal popolo degli Ariani, si ha testimonianza che era severamente vietato consumare pasti con appartenenti a caste diverse. Il consumare cibo è stato sempre strettamente collegato ad occasioni di festa inerenti al ciclo della vita sociale, politica e religiosa. Se pensiamo agli animali, loro consumano la preda da soli, tranne le mamme, a cui è affidato il compito di nutrire i propri figli. Osservando le incisioni dei popoli primitivi si nota, come, invece, gli uomini che avevano formato i piccoli villaggi andavano a caccia in branco e poi consumavano, con il villaggio, le carni catturate. L’occasione era celebrata con danze festose, per esaltare la forza umana vittoriosa su quella animale. In questo caso, però, il cibo era fonte di nutrimento per il popolo e il concetto di festa era strettamente collegato al festeggiare l’esito della caccia, una ricompensa alle fatiche affrontate contro il mondo, per la propria sopravvivenza. Con il passare degli anni, invece, le rappresentazioni pittoriche riportano solo il cibo conviviale legato alle tematiche di vita, morte, nascita, rinascita, cicli stagionali, religione, lotta, vittoria, trionfo. Il consumare cibo viene anche inteso in modo grottesco, con l’immagine di una bocca che ingerisce il mondo. «Il mangiare e il bere sono una delle manifestazioni più importanti della vita del corpo grottesco. Le particolarità di questo corpo stanno nella sua apertura, nel suo carattere non definito, nella sua interazione col mondo. Ed è nell’atto del mangiare che esse si manifestano nel modo più tangibile e concreto: il corpo supera qui i propri limiti, inghiotte, assimila, dilania il mondo, lo assorbe tutto, si arricchisce e cresce alle sua spalle. L’incontro dell’uomo con il mondo che avviene nella grande bocca spalancata in atto di sgranocchiare, dilaniare e masticare, è uno dei soggetti più antichi e più importanti del pensiero e dell’imagerie umana. Qui l’uomo assapora il mondo, sente il gusto del mondo, lo introduce nel suo corpo e lo rende parte di se medesimo»[2]. Vi è una distinzione importante su cui porre l’attenzione ed è tra il senso del banchetto di nozze e il convivio funebre. Alle nozze, il consumare cibo è auspicio di riproduttività per gli sposi, una conclusione della festa che è l’equivalente del concepimento e, quindi, apre l’inizio ad un atto che porterà a nuova vita. Mentre, i convivi funebri celebrano una fine in questo mondo e una rinascita in un altro. Quello che li accomuna è il momento in cui viene consumato, cioè, alla fine della festa, come conclusione che augura un nuovo inizio. Nella religione cristiana il banchetto è legato all’episodio dell’ultima cena. Gesù sapendo del suo destino riunisce i discepoli in un banchetto, per celebrare una fine che porterà a rinascita, ovvero, la vittoria sul mondo. Il celebrare la Santa Messa, con il sacramento della comunione, ripropone il tema del banchetto, vissuto tra la comunità cristiana che ve ne partecipa e il corpo di Cristo offerto come cibo, da assaporare, per festeggiare in allegria la resurrezione. Tra le parole di Gesù citate nei vangeli leggiamo: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi» (Lc 22,26). Il messaggio è quello di aver desiderato con tutto se stesso il momento di festa, di gioia, di allegria, di vittoria della vita sulla morte, di rinascita, da festeggiare tutti insieme. Nelle rappresentazioni pittoriche l’ultima cena, di Gesù con i discepoli, viene rappresentata con una tavola imbandita dell’essenziale. Notiamo il vino e il pane, gli elementi simbolici del sangue e corpo di Cristo. Non notiamo un banchetto ricco di pietanze ammassate sui vassoi a simboleggiare abbondanza. I partecipanti sono assorti e attenti ai gesti compiuti da Gesù, non si ha una disposizione disordinata di partecipanti giocosi, ubriachi e particolarmente allegri, l’allegria festeggiata è quella che sta per arrivare. Si ha qui un forte senso sacrale di ciò che si sta compiendo. La pittura illustra bene i dettagli e la gestualità, perché comunica attraverso di essi. Se osserviamo, ad esempio gli affreschi della Basilica inferiore di Assisi, con le storie della vita di San Francesco d’Assisi, possiamo notare prodotti tipici umbri, come ad esempio il cinto, raro esemplare umbro. I dettagli vengono scelti dall’artista, con attenzione, per comunicare non solo il concetto di festa, ma anche la collocazione spazio temporale, come se un dipinto fosse una lettera scritta ai posteri con luogo, data e firma. Anche la letteratura ci offre vari esempi sulla tematica dell’alimentazione, ad esempio Dante, nel canto sesto dell’ Inferno, della Divina Commedia, colloca i golosi, ovvero coloro che hanno peccato di gola, che hanno avuto un rapporto squilibrato con il cibo. Ancora, ci illustra la figura della lupa, magra, scarna e sempre affamata, simbolo di un’umanità che continua ad inghiottire il mondo e non si sazia mai. La terza delle fiere che Dante incontra nella selva oscura e gli impedisce di salire al colle. Il significato allegorico è strettamente legato alla condotta morale degli uomini, che non riescono a trovare la pace se continuano a nutrirsi di peccato. Altre informazioni sull’alimentare possiamo trovarle ad esempio nei romanzi di D’Annunzio, raccolti con il titolo Le faviglie del maglio, in cui l’autore descrive i malati di tisi e il loro sofferente rapporto con il cibo. Proprio, perché il cibo è strettamente legato all’allegria, chi è affetto da sofferenze non riesce ad alimentarsi correttamente e prova maggiore sofferenza nell’atto del nutrirsi. Psicologicamente il malato mentre soffre la fatica del malessere desidera la morte e rifiuta la rinascita collegata all’alimentazione. Da qui sfociano le due principali malattia alimentari, quali, l’anoressia e la bulimia. Un’altra immagine offerta dalla pittura è il famosissimo quadro di E. Munch, L’urlo, in cui vediamo al centro della raffigurazione una figura umana sofferente, magra e ondeggiante, come fosso solo spirito e non anche corpo. La sofferenza in questo soggetto artistico è espressa limitando anche la corporeità della persona ritratta, proprio nell’evidenziare il dramma vissuto. Se, invece, osserviamo la Venere di Urbino del Tiziano notiamo la corposità delle carni e la sinuosità di un corpo ben nutrito che manifesta tutta la sua bellezza.

[1] M. BACHTIN, L’opera di Rabelais e la cultura popolare, Riso, Carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Einaudi, Torino 1995, pg. 309.

[2] Ibidem, pg. 307.

Tiziana Mazzaglia, Il cibo è vita, ma qualche volta è anche morte. Alimentazione: rappresentazione e ritualità, in «L’informatore delle autonomie locali», 13/03/2013 http://www.linformatore.info/?p=441

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