Chi ha il mal di vivere può decidere di morire?
di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia
Casi di richiesta per eutanasia: una ventenne organizza il proprio funerale. Intervista a Mons. Antonio Interguglielmi, Canonista, Cappellano Rai, Direttore Ufficio Aggregazioni Laicali della Diocesi di Roma.
L’eutanasia in alcuni paesi, come Svizzera e Belgio è legale. Di recente, ci è giunta la notizia di una ragazza belga, di soli 24 anni, che ha ottenuto il diritto di poter organizzare il proprio funerale dopo la così detta “dolce morte”, ovvero l’eutanasia. Una legge belga del 28 maggio 2002 permette, infatti, di concedere questa drastica fine a chi soffre con conseguenze fisico-psicologiche in modo costante e incurabile. In questo caso, si tratta di una depressione in atto dall’infanzia, che ha spinto la protagonista a tentare più volte il suicidio: fino adesso era stata sempre salvata e aiutata anche da psichiatri, che però non sono mai riusciti a lenire il suo “male di vivere”, se non attraverso palliativi ben presto dissolti e quindi inutili. Un male di vivere, dunque, che spesso bussa alle porte degli umani: cantato in versi in una poesia di Eugenio Montale, in cui, nel periodo tra le due guerre, molti e troppi uomini di qualsiasi età venivano uccisi. Le figure allegoriche, in questa poesia richiamano l’immagine di un “rivo strozzato che gorgoglia” e di un “cavallo stramazzato”. Raffigurazioni che ben si riflettono anche una giovane ventenne, perché la sua vita non ancora giusta a metà del suo corso si ritrova ostruita e invece di scorrere attraversando chi sa quali sentieri, per opera umana lascia aride tante vie che avrebbe potuto bagnare. Il cavallo stramazzato in questo caso non è un soldato che ha lottato con tutte le sue forze, ma una giovane creatura, che fin dai primi anni d’età ha lottato con tutta se stessa per poter smettere di vivere. Un male di vivere scientificamente chiamato “depressione acuta”, ma che altro non è quell’accidia citata, nel medioevo, dai Padri della chiesa. I religiosi e i monaci avevano degli avvertimenti particolari per vincere l’accidia e un monaco benedettino, nostro contemporaneo, psicologo, Anselm Grün ha pubblicato vari libri in cui citando la vita monastica consiglia come lottare contro la depressione. Si tratta di un’esperienza che non ha risparmiato neanche alcuni santi, come Santa Chiara d’Assisi: infatti, nel suo testamento vi è scritto che sia lei sia sue consorelle abbiano vissuto momenti di isolamento e profonda solitudine; narra anche di essere stata male e accudita da un gattino che le riportava a letto i gomitoli di lana se le cadevano per terra. Lo stesso Sant’Agostino parla dell’accidia e anche Petrarca: argomenti che ho trattato in un altro mio articolo (http://www.lecanoedelweb.it/dialogo-tra-petrarca-e-santagostino-laccidia/ ).
L’opinione della Chiesa risulta sempre una fonte importante e che desta curiosità, per questo ho chiesto a Mons. Antonio Intergugliemi di espormi un suo parere circa la ragazza Belga:
«La posizione della dottrina cattolica sulla vita umana è sintetizzata dal Catechismo della Chiesa Cattolica nel numero che tratta del V Comandamento (non uccidere): CCC nr. 2258 «La vita umana è sacra perché, fin dal suo inizio, comporta l’azione creatrice di Dio e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente». Qualche numero più avanti nel Catechismo si riafferma che anche l’eutanasia è “moralmente inaccettabile” e la si distingue dall’accanimento terapeutico (cfr. nrr. 2276-2279). La notizia di questa ragazza belga che a 24 anni ha chiesto di porre fine alla sua vita colpisce non tanto per la richiesta: quante persone depresse lo pensano e anche noi, trovandoci in una situazione di disperazione o di disagio grave, potremmo pensare che sarebbe meglio smettere di soffrire? E’ uno dei combattimenti dell’animo umano. Anche nella Sacra Scrittura troviamo del resto Giobbe che, nelle sue sofferenze, afferma: “Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: «E’ stato concepito un uomo!»” (Giobbe 3,3). Non scandalizza, dunque, la disperazione di questa povera ragazza, ma l’incapacità di una reazione da parte della società, l’incapacità di dare una risposta che apra una via diversa, una Speranza. Realtà in cui viviamo ormai confusa e senza punti di riferimento: al punto che ben tre medici approvano la richiesta: ma il compito del medico, in virtù del giuramento cui è tenuto, non dovrebbe essere quello di adoperarsi per salvare la vita e non per toglierla? E’ una delle conseguenze del togliere Dio dalla vita dell’uomo: l’uomo al centro di tutto significa alla fine far perdere valore anche alle cose più sacre, di per sé inviolabili, come la vita. Il Signore ci ha creato per vivere in rapporto di amicizia, di amore con Lui, di consegna a Lui. Ma noi ci siamo separati dal Signore e ci siamo fatti dio di noi stessi. Le sofferenze di Giobbe troveranno il senso solo con la nascita di Gesù Cristo. Anche per noi scoprire l’esistenza di un Dio che ci sta vicino e soffre con noi, che ci dona la Pace pur nelle grandi difficoltà, che sale sulle nostre croci e le porta insieme a noi, cambia completamente l’orizzonte. Perché è vero che la sofferenza senza significato è terribile e insopportabile. Non si tratta, quindi di un problema semplicemente “morale”, ma molto più profondo. E’ il sintomo che si sta perdendo con Dio anche il senso della vita, che non si può solo trovare nelle cose, nei soldi, nel successo, nel piacere fine a se stesso, in fondo solo nell’uomo…dentro di noi c’è qualcosa che ci dice che non siamo nati solo per queste cose, che abbiamo bisogno di qualcosa di eterno. Questa ragazza, giovane e senza particolari problemi, ma senza la voglia di vivere, di fatto denuncia questa perdita di “senso”, conseguenza della perdita di Dio. Denuncia che non si può vivere senza il Cielo».