Eleonora Duse, follie per la folla
di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia
Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio: la “follia perpetua”.
Nel romanzo “Il fuoco”, di Gabriele D’Annunzio, pubblicato nel 1900, si legge un aspetto apparentemente narrativo, in cui si ha la struttura del rapporto tra scena e folla, attore e vate, attore e pubblico. Il protagonista dialoga spesso con una donna, che nella realtà è Eleonora Duse. Famosa attrice di teatro e poi anche di cinema, nelle vesti di anti-diva. Infatti, recitava di spalle esaltando le qualità artistiche del personaggio femminile, finora esaltato più per la bellezza. In questo romanzo la donna amata diventa strumento di ispirazione per lo scrittore. Un amore vissuto in senso utilitaristico. La donna è l’oggetto che darà consistenza all’arte della scrittura, adoperata per accedere all’immaginazione. Si ha una sorta di musa ispiratrice che suggerisce al poeta temi e visioni e dona forma a ciò che appare confuso. Eleonora Dure è un’attrice capace di accogliere le sensazioni comunicate dal pubblico, da cui scaturiscono sensazioni affettive. D’Annunzio essendo narcisista è incentrato su di sé e non riesce ad arrivare dove arriva la Duse, che invece cerca di essere la statua vivente protesa verso la moltitudine di coloro che assistono, come se dovesse abbracciare la folla. Una sorta di attrice vista come metafora vivente. Ma, come mai quest’attrice ha sviluppato tali capacità? Il passato è la chiave di apertura dello scrigno sentimentale della Duse. Da bambina viveva con i genitori, attori di teatro, costretti a continue trasferte in situazioni di povertà. L’unica sua scuola è stato il palco. La madre le insegnava a leggere e scrive nelle pause tra le prove degli spettacoli. D’Annunzio dialogando con lei ci fornisce una testimonianza in cui racconta di aver sacrificato tutta se stessa per il teatro. Cita con tenerezza il suo primo approccio con i sentimenti amorosi. Ancora prima di provare l’esperienza dell’innamoramento aveva dovuto interpretare la parte di Giulietta. Provando, quindi, un’esperienza di svuotamento della propria identità, per poter accogliere il personaggio da interpretare. Parla di inquietudine profonda e dice di essersi sacrificata per il pubblico del teatro. Cattura, accoglie il testo e si disumana, profana se stessa, per un qualcosa da offrire agli altri. La ragazzina adolescente che sta per formare la sua femminilità si incontra con il testo e lo lascia vivere in lei. Si sente derubata della sua adolescenza che non le sarà mai più restituita. La Duse parla della sua esperienza, come quella di una donna che ha perso la propria esistenza. Si sente interdetta nel suo accesso alla femminilità, trasformata in un contenitore di personaggi da offrire al pubblico. Quindi, si assiste ad un’esperienza di maternità nei confronti del teatro ed è questo che ha stimato in lei D’Annunzio. La Duse, nelle sue lettere cita spesso la condizione umiliante degli attori, visti come figure demoniache, già nel Medioevo condannati dalla chiesa. Il teatro è per lei il luogo abitato da grandi sentimenti, si ritrova a metà tra il personaggio e il pubblico, al vertice di questo triangolo. Si assiste ad un fenomeno molto simile all’eclissi che ci permette di mettere in luce quello che solitamente non si potrebbe vedere. L’offrire se stessa al teatro era anche espresso dalla corporeità dell’attrice, sappiamo che non si voleva mai truccare, per comunicare l’idea del tempo che scorre sulla sua pelle. Questo suo voler comparire nella semplice nudità che è parte integrante della recitazione è ben apprezzato dalla critica. Sappiamo ancora che era affetta da tisi e spesso rimaneva afona, ma neanche questo l’aveva fermata nella sua missione di attrice. Aveva, infatti, trovato una tecnica di recitazione utilizzando toni bassi, marcando l’espressività e la mimica del cinema muto. I critici parlano molto dei silenzi della Duse. Silenzi capaci di esprimere con il corpo la verità di un’emozione. Quando D’Annunzio termina il romanzo “Il fuoco” chiede ad Eleonora di leggerlo e dargli il permesso di pubblicarlo. Qui assistiamo ad un secondo sacrificio, una seconda eclissi, l’attrice profana anche i suoi sentimenti più intimi e si offre come “oggetto” di studio, posto come tramite, tra l’arte e la folla. Una vita completamente dedicata e assorbita dalla propria passione al punto tale di sacrificare tutto, anche la maternità. Di questo se ne ha testimonianza attraverso una lettera, scritta da Eleonora, in cui, ormai anziana, chiede scusa alla propria figlia, per non essere stata una brava madre, con lei e si rimprovera di aver bruciato quest’altra esperienza, esistenziale e umana, sfogata solo nella finzione e donata al pubblico. Quando da adulta le viene chiesto di interpretare ancora una volta la parte di Giulietta accetta apportando una svolta innovativa e geniale sulla scena. Non essendo più giovane non può offrire al pubblico l’immagine di una ragazzina e quindi incentra tutta la scena sull’emozione provata per il primo ballo e nell’indossare il primo abito da festa. Ripresa di spalle offre emozioni non potendo più offrire il volto giovanile. Ed è così, che dietro una grande attrice scopriamo una profonda vocazione portata avanti, malgrado sacrifici e devastazioni del proprio essere, al servizio degli altri, una serva del teatro destinata a sensibilizzare la folla partorendo personaggi che dalle righe scritte, dei testi, assumo, in lei, corpo e vita.
Tiziana Mazzaglia, Le Donne, Gabriele D’Annunzio e la “follia perpetua”. Eleonora Duse, follie per la folla, in «L’informatore delle autonomie locali», 20/05/2013 http://www.linformatore.info/?p=519