Il Liceo classico in Italia: ne parla la Prof.ssa Borutti

Il Liceo classico in Italia: ne parla la Prof.ssa Borutti

di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia

 

Intervista alla Professoressa Silvana Borutti docente di Filosofia teoretica presso l’Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Studi Umanistici.

images (1)Il Liceo classico introdotto in Italia nel 1923, con la riforma Gentile, è oggetto di discussione e rischia di essere abolito. Le teorie di chi è a favore dell’abolizione esprimono un bisogno di un percorso di studi attuale e moderno, che sia attrattivo all’utenza dei giovani di oggi. Le materie del Liceo classico sono definite non in linea con l’evoluzione della società italiana contemporanea. Se da una parte i tempi sono cambiati insieme all’evoluzione delle conoscenze e soprattutto delle tecnologie è anche vero che non è possibile resettare il nostro passato, la nostra storia. Per sapere dove andiamo dobbiamo prima sapere chi siamo e da dove veniamo. La cultura classica è un enorme patrimonio culturale che apre le porte, come ha sempre fatto, a tante professioni. In merito a questo discorso ho intervistato la Prof.ssa Silvana Borutti, docente di Filosofia teoretica presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Pavia.

  1. Abolire il Liceo classico significa abolire il nostro passato? Resettarlo, per usare un termine moderno?

« Sì: abolire il liceo classico significa fare un passo notevole nella direzione che lei indica: abolire la memoria del mondo di significati da cui proveniamo. Ma questa affermazione non può limitarsi a uno slogan, va riempita con analisi: un compito non facile, in cui dovremmo tutti impegnarci. In primo luogo, cosa significa “classico”? È un concetto che troviamo nei romantici, ad esempio in Friedrich Schlegel. Ce lo chiarisce Gadamer, spiegando il concetto di “classico” come “coscienza di una permanenza”. “Classico” non individua semplicemente un insieme definito di opere, una classe di opere, ma consiste piuttosto in una relazione filosofica riflessiva che un’epoca ha con la propria storia; significa in altre parole un modo di ricezione dei testi che ha a che fare con la Bildung, cioè con la formazione di un’identità epocale. È un concetto “per noi”, per pensarci e capirci, per riflettere su di noi. Ma cosa può darci nella situazione presente la conservazione della memoria da cui proveniamo? È solo antiquaria? No: la cura e la conservazione della memoria e la conoscenza della profondità temporale e della distanza storica rispetto alle civilizzazioni antiche sono fondamentali per la nostra coscienza e per la nostra autocoscienza culturale, cioè per analizzare le nuove dinamiche di convivenza e il rapporto col diverso, per interpretare criticamente le tendenze culturali, per imparare a leggere i bisogni diffusi, per formarsi categorie e concetti che aiutino a capire i cambiamenti antropologici, ad esempio quelli legati al nuovo mondo digitale. Un piccolo esempio della forza concettuale del classico: leggere l’Etica nicomachea di Aristotele o il Laelius de amicitia di Cicerone per capire come usiamo il concetto di amicizia su Facebook; un esempio più rilevante: ripensare al nostro concetto di alterità ragionando sul complesso processo di assimilazione della cultura greca attraverso cui i Romani arrivano a fondare la proprio cultura».

  1. Lo studio della Filosofia da sempre ha costruito le fondamenta del pensiero moderno, eliminarla dalle scuole di istruzione secondaria di secondo grado che effetti può avere nella società del futuro?
  2. Secondo Luciano Canfora “quella classica è la formazione più completa. Soprattutto è l’unico indirizzo in cui viene dato il giusto peso alla materia più importante di tutte, per il salto nella maturità: la filosofia”. Cosa ne pensa a tal riguardo?

«La seconda e la terza domanda ammettono un’unica risposta, e una premessa: le sfide del mondo contemporaneo saranno vinte da chi padroneggia meglio le parole e i ragionamenti. Sento dire continuamente che le nostre, in quanto società complesse, devono essere viste come società della conoscenza, e sono d’accordo. Ma cosa si intende per società della conoscenza? Mi pare che si faccia soprattutto riferimento all’aumento esponenziale delle specializzazioni e dell’orientamento al risultato. Nelle società avanzate come la nostra, l’urgenza di dominare i processi complessi ha prodotto la cultura esecutiva delle performances. Ma la complessità dei processi richiede anche e soprattutto che si sappiano vedere le direzioni possibili e gli esiti possibili: richiede cioè che si sviluppino le capacità riflessive e creative, e ciò può essere conseguito solo con la valorizzazione delle discipline che sviluppano riflessività e capacità critiche. Le discipline filosofiche sono preziose, come dice Canfora, proprio perché sviluppano la capacità autoriflessiva di controllo dei metodi, dei criteri, dei percorsi, dei concetti, e insegnano a esercitare l’attitudine creativa a collegare fenomeni distanti in una visione di insieme. Ad esempio, la comprensione delle potenzialità e dei rischi legati oggi alle nuove frontiere del sapere – information technology, nanotecnologie, biotecnologie, genetica – richiede una profonda riconsiderazione del modello della ricerca, che sappia percorrere la strada dell’analisi dei fondamenti: cioè la strada della riflessione filosofica sui concetti. Pensiamo a come le potenzialità tecnologiche in relazione agli eventi della vita e della morte (quello che la scienza e la tecnica “possono”, il loro sviluppo) ci pongano di fronte a dilemmi drammatici. La grande sfida dell’etica contemporanea è attrezzarsi per affrontare l’analisi dei concetti di natura, di vita e di morte, affinché l’assunzione irriflessa ed emotiva di questi concetti come bandiere ideologiche non condizioni in modo cieco le decisioni. E a questo si può arrivare solo con le discipline filosofiche, e con la preparazione metodologica che dà in generale lo studio delle lettere».

 

  1. Oltre all’abolizione è discussa anche una variazione di materie, inserendo diritto ed economia. Già adesso in parecchi licei sperimentali è stata eliminata la Storia dell’arte, sostituita da una seconda lingua straniera. Non si rischia di creare una società incapace di leggere i segni del passato, il loro valore e quindi anche la salvaguardia di un patrimonio culturale?

«Diritto ed economia sono discipline importanti, che possono essere bene integrate in una formazione umanistica, soprattutto se presentate anche in prospettiva storica. Confrontare il modello degli economisti classici (Smith e Ricardo) con i modelli macroeconomici contemporanei è ad esempio un bell’esercizio di pensiero. Ma non sono alternative a storia dell’arte; non devono comportare il sacrificio degli studi che definiscono che cos’è il nostro paese. Perché abolire storia dell’arte, quando basta uscire di casa per trovare frammenti del nostro immenso patrimonio artistico su cui esercitare la conoscenza? E quanto alle lingue, i giovani le imparano molto meglio nei soggiorni all’estero. Non può che preoccupare questa continua rincorsa a modelli di formazione stranieri, quando invece i risultati e i riconoscimenti che i nostri allievi del liceo e dell’Università ottengono all’estero (non solo negli Stati Uniti, ma anche in Francia, in Svizzera, in Inghilterra) dovrebbe produrre una diversa autovalutazione e una difesa degli aspetti positivi del nostro sistema di istruzione e formazione. Ma tutti i ministri che si avvicendano non fanno altro che cercare effetti mediatici, come le famigerate tre I».

  1. Secondo Umberto Eco “ Nel liceo classico che ho fatto io c’era perfino pochissima storia dell’arte, la studiavamo su un vecchio manuale, il Pittaluga, con le foto in bianco e nero. E si erano dimenticati di spiegarci che Leonardo era un genio della pittura, ma non sapeva granché di chimica dato che molti suoi affreschi si scoloriscono”. Credo che quest’affermazione racchiuda l’importanza di una cultura generale e non limitata e in base a questo l’urgenza di oggi sembra più quella di studiare il passato adoperando le nuove tecnologie, senza abolirlo. Ad esempio adoperando aule LIM per spiegare la Storia dell’arte e la Filosofia, anche le mostre d’arte più recenti e innovative si avvalgono di percorsi multimediali e così sarà anche l’Expo 2015. Cosa pensa del connubio tra cultura classica e tecnologie moderne?

«Penso tutto il bene possibile, soprattutto degli strumenti multimediali, purché si sia consapevoli di quello che può la tecnologia, e di quello che può l’interazione vivente tra maestro e allievo. Ho letto di uno studio che dimostra che studenti che hanno a disposizione strumenti tecnologici a scuola o a casa hanno maggiori successi scolastici: ma che tipo di successi scolastici? Nella forma di ricerche che incollano informazioni raccolte con i motori di ricerca? Nella compilazione di schede? In questo senso, mi pare che un’eccessiva esposizione ad Internet dei giovani renda le loro menti più passive, meno attive e intraprendenti. Non si impara a imparare se non c’è un docente che insegni il metodo, che insegni a selezionare, soprattutto che insegni a riflettere e a prendere il tempo della riflessione, ad aver pazienza, a prendere anche il tempo della rêverie, quella funzione mentale che rende recettivi e serve a metabolizzare i dati sensoriali grezzi e a renderli utilizzabili come esperienze dotate di significato e in grado di promuovere la capacità di pensare. Quando insegno, cerco gli occhi dei miei studenti, cerco l’intesa e la comprensione. Ho letto anche che attraverso l’interattività è possibile allenare alla flessibilità e alla disponibilità sensoriale, coniugare la sfera percettiva e cognitiva (ma ognuno di noi è un magma di esperienze viventi ad un tempo passive e attive, non l’integrazione di sfere!). Mah. In conclusione: sono un po’ scettica se il conferenziere usa il power point per leggere concetti che non sa esporre e spiegare, mentre benedico la tecnologia quando posso condividere col pubblico una bella proiezione di un ritratto di Francis Bacon o di un particolare del Sogno di Costantino di Piero della Francesca».

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