Il nostro mondo capovolto!
di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia
Ieri e oggi con citazioni da M. Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare, Einaudi, Torino 1979. Uno spunto di analisi del mondo in cui viviamo: alla gogna sulla piazza!
Le attività ludiche caratterizzano l’essere umano fin dagli albori della sua esistenza. Secondo la cultura primitiva si praticavano una serie di riti e danze con funzioni ben precise collegate ad eventi naturali o della propria vita. Si possono citare le danze per la pioggia, quelle di preparazione alla caccia, alla semina, fino ai riti di inizializzazione per celebrare l’entrata in una casta. Con il trascorrere degli anni, anche nel Medioevo l’aspetto ludico della vita ha avuto una sua notorietà. In particolare, nel perdiodo del carnevale, considerato come un controtempo, in cui si viveva creando una sorta di antimondo ovvero, un mondo alla rovescia, in cui si sospendevano le attività quotidiane e in particolare le celebrazioni liturgiche per staccarsi in un “conto alla rovescia”. La vita di tutti i giorni cedeva il posto ad una scansione diversa del tempo al limite tra sacro e profano, in cui attraverso la forma in illo tempore si trasforma il naturale in simbolico. La società viveva una concezione di dualismo del mondo, uno sacro e uno profano, quest’ultimo trovava la sua collocazione nel periodo del Carnevale, in cui dall’etimologia della parola, carne-vane, tutto ciò che era legato al basso corporale veniva esaltato insieme al riso e al divertimento sfrenato. Il mondo profona esigeva un ribaltamento della piramide sociale infatti, nelle piazze veniva eletto un re, scelto tra i più stolti. Un modo anche per beffeggiare il potere. La società del nostro tempo sembra aver perso l’idea di dualismo. Siamo in una sfera in cui il mondo alla rovescia è divenuto tempo stesso di tutta la nostra vita e non più momento di rottura provvisorio. La follia è oggi elemento costante. Basta citare i fatti di cronaca più ricorrenti di episodi violenti e brutali nelle famiglie. Non si ha più un equilibrio sociale e ne risentono anche i singoli individui. Nelle famiglie manca la piramide sociale, perché mancano i ruoli nei genitori, per la maggior parte separati. Nelle scuole si assiste ad un ribaltamento generale degli alunni nei confronti degli insegnanti, che perdono sempre più potere. Un richiamo, una nota non ha alcun valore. Si parla di dialogo che poi equivale alla trattazione mediante compromessi, per arrivare ad una convivenza serena. Questo accade, perché le scuole non vogliono perdere gli iscritti. Quante volte i presidi dicono agli insegnanti “trattiamoli bene se no questi cambiano scuola e noi perdiamo le classi e il lavoro”. Alunni considerati numeri sottovalutanto il ruolo educativo dell’insegnamento. Un ragazzo che ha studiato si distingue da un altro anche dall’educazione. Compito della scuola non è far assimilare nozioni, ma renderle note per poter fare scrivere ad ognuno la propria melodia, che poi va a confluire nella melodia della nostra società. Se un ragazzo non sa comportarsi in modo civile in un’aula, come si comporterà nel mondo del lavoro? E nel mondo del lavoro l’economia del risparmi comporta la preferenza di impiegati poco colti da pagare meno. Chi ha studiato e ha assimilato cultura deve fuggire all’estero, perché in Italia non ha futuro. Chi ha titoli di studio non viene valorizzato e chi non ne ha viene premiato. Insegnanti precari vengono obbligati ad aiutare i ragazzi in difficoltà attraverso obiettivi minimi, sempre più minimalizzati, in modo da poter dar loro un diploma, altrimenti cosa faranno nella vita. Ma allo stesso stempo, i professori precari che nella loro vita di titoli di studio ne hanno accumulati tanti rimangono precari! Considerati gli appestati della società, coloro che costano allo stato, coloro che si lamentano della loro precarietà. Simili ai costruttori delle piramidi, costretti a trascinare il peso della loro condizione di vita, per poi morire nella stessa piramide che hanno costruito. Dante citerebbe il bue di rame di Sicilia, come nel canto XXVIII in riferimento a Guido di Montefeltro, per dirci che spesso siamo noi gli artefici del nostro destino, così i precari avendo iniziato il percorso dell’insegnamento, a cui hanno dedicato anni della loro vita, si ritrovano in un vicolo chiuso e alla deriva. Un mondo capovolto, in tutti i campi. Sembra di assistere quotidianamente al carnevale descritto da M. Bachtin in L’opera di Rabelais e la cultura popolare, Einaudi, Torino 1979. La cultura è diventata come un trattore guidato in pieno centro da chi non ha la patente e non conosce neanche la segnaletica, la cultura è ormai alla gogna sulla piazza! E con essa il rispetto, l’educazione, la morale, l’equilibrio psico-fisico…!