Quando il reato ha un volto e un’anima da curare
di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia
Caterina Vaccari, psicologa e giudice, ospite alla 27ª puntata di “Piazza Verga” condotta dall’avvocato Giuseppe Lipera.
Il tema di questa ventisettesima puntata di “Piazza Verga” verte su alcuni aspetti drammatici dell’esistenza umana, figure umane simili a quelle incontrate da Dante nell’Inferno, perché i loro reati sono tra i più turpi. Eppure, queste persone sono umane e come tali hanno un’anima da curare. Ricordo di aver incontrato, anni fa, un frate francescano: era giovane e stava vivendo le sue prime esperienze del cammino formativo, prima dei voti perenni. Il maestro lo aveva mandato in missione in carcere, per colloquiare con chi aveva commesso il reato di pedofilia. Il religioso, in queste figure umane ritenute mostruose per gran parte dell’umanità, aveva incontrato Dio. Ma come si fa? Mi ero chiesta. Così, lui aveva risposto raccontando di essersi sentito come diviso in due: una parte, più umana, sentiva il ribrezzo e guardava in faccia questi uomini vedendo sul loro volto i cadaveri dei bambini che erano stati le loro vittime, ma allo stesso tempo, in lui la parte spirituale aveva predominato istaurando un processo di ricordo dell’esperienza di San Francesco con il lebbroso. Il lebbroso puzza, è infetto, fa ribrezzo, ma è proprio colui che ha bisogno di aiuto e se non riusciamo ad andargli incontro diventiamo come lui, peccando di superbia. Solo applicando la nostra misericordia in questi soggetti possiamo comprendere come il Signore possa perdonare qualsiasi peccato, solo grazie ad un atto d’amore.
Questa stessa esperienza la vivono gli psicologi che, come la dottoressa Caterina Vaccari, svolgono ore di servizio nei reparti protetti dei carceri. Tali reparti vengono detti protetti in quanto qui vengono destinati colpevoli di reati come pedofilia e sex offender, ovvero offensori del sesso, in cui rientrano tutta una serie di reati sessuali. Si tratta casi talmente gravi da dover proteggere gli altri detenuti da questi elementi. Il compito di uno psicologo in queste circostanze consiste principalmente nell’ascolto, per donare all’altro un volto a cui potersi rivolgersi con cui potersi specchiare, senza vivere il rifiuto completo. Molti di loro non reggono la pena e si suicidano e questo denota un estremo bisogno di aiuto. Una parte di essi sono caduti vittime di reati simili durante la loro infanzia o adolescenza e non sono stati aiutati, altri invece, per una serie di cause patologiche che mandano il cervello in tilt. La dottoressa Vaccari racconta di svolgere questo mestiere, già da nove anni e lamenta uno scarso impegno di risorse economiche in questo campo in cui c’è un imminente bisogno di investimenti. “Le ore non bastano mai” -sostiene e ripete più volte- “devono essere aiutati ad accettare quanto gli sta succedendo attraverso un lavoro di percezione del reato”. Mi sembra, ovvio, quindi che si tratta di una vera e propria missione che ha un livello talmente alto da essere al pari di una vocazione religiosa. Quando l’avvocato Giuseppe Lipera le ha chiesto come mai ha deciso d’intraprendere questa professione, lei ha risposto di aver assistito casualmente a dei furti, alcuni avvenuti sull’autobus, e di essersi ritrovata a testimoniare. Esperienze in cui il contatto con il mondo della giustizia l’ha sedotta, per condurla nel luogo del bisogno paragonabile a quel girone dantesco chiamato Caina: il più vicino a Lucifero e più lontano da Dio, in cui chi va ad operare come psicologo porta quel faro di luce che permette di vedere il Dio tanto lontano.