Quando un gioco diventa ossessione
di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia
A volte la mancanza di giusto equilibrio nello sport, come in altri campi, può essere autolesivo.
Gli scacchi, un gioco classico, mai passato di moda, che appassiona da generazioni. Per praticarlo si può scegliere di comprare una scacchiera, e spesso si trovano oggetti unici da collezione! Dal legno alle pietre preziose, ogni artista inventa la sua scacchiera. Oggetti unici di prestigio. E, ancora, c’è la possibilità di giocare presso circoli, partecipare a tornei, gare, o giocare per corrispondenza tramite internet, per questo gioco riconosciuto dal Comitato Olimpico Internazionale, e dal 1924 si ha anche la Fédération Internationale des Échecs. Viene denominato “gioco” in verità è molto complesso, bisogna praticarlo con attitudini particolari, alta concentrazione e astuzia. Ma, come un gioco può diventare mania? Molti sono i campioni, spesso rimangono sconosciuti e all’oscuro, anime del purgatorio costrette a vagare e, se non riconosciute, non potranno raccontare la loro storia. Come è successo a Robert James Fischer, morto il 17 gennaio 2008. Ha vissuto tutta la sua esistenza orientata ad ottenere il titolo di più grande scacchista americano del secolo, e una volta ottenuto muore solo e dimenticato da tutti. A soli sei anni vanta già la fama di campione sotto la veste di bambino prodigio. A tredici anni vince partite importanti, contro i più grandi giocatori. Ma, la sua identità di persona è celata dietro il ruolo del grande giocatore, come direbbe Pirandello, indossava la sua maschera, la sua “etichetta” dettata dalla società. Per una decina d’anni si classifica primo ai campionati, come giocatore invincibile, divenendo così, campione del mondo e dopo aver ottenuto questo prestigioso titolo si è rinchiuso nella sua solitudine, perché la vita di una persona non può essere limitata ad un solo obiettivo! Il traguardo, è raggiunto ormai, dopo aver dimostrato di essere ciò che gli altri si aspettavano, non rimaneva che celarsi all’ombra e cercare di recuperare la propria esistenza, ormai distrutta da una vita non vissuta. Proprio, come i personaggi Pirandelliani, vi è un momento in cui le maschere stanno strette e l’individuo entra in crisi, per lui così profonda da renderlo arreso alla vita, infatti, Fischer muore del suo male senza lasciarsi curare. Del resto, anche la vita affettiva familiare non gli era stata d’aiuto, perché i genitori si erano divisi quando lui era piccolo e aveva dovuto affrontare la solitudine immergendosi nel gioco degli scacchi, come unica ancora di distrazione e unico motivo di vita. Ed è questo il pericolo di ogni sport, quando la sfida e il traguardo diventano ossessione distruggono il giocatore stesso, perché per arrivare alla fama di campione del mondo serve una caparbietà onnipresente. Una vita divenuta gara sfrenata alla conquista di un’etichetta, importante, per ottenere nella società quello che non si ha avuto affettivamente, rovinando, così la bellezza di uno sport, che dovrebbe essere condotto solo per il puro spirito di attuare le regole nella correttezza, accettando di perdere, qualche volta, mantenendo la stima del pubblico.
Tiziana Mazzaglia, Bobby Fischer: una leggenda, ma … Quando un gioco diventa ossessione. 17 gennaio ricorrenza morte di Robert James Fischer, in «Il Sud Mezzogiorno d’Italia». 16/01/2013, http://www.giornaleilsud.com/?p=1672