Un processo dal gusto “Pirandelliano”
di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia
Fare un’arringa di un processo di mafia: con poche verità tanti pregiudizi. Avvocato Giuseppe Lipera (CT).
“Uno, nessuno e centomila” è il titolo di una novella famosa di Luigi Pirandello, molto conosciuta e rappresentata anche teatralmente. Quello di cui parla l’autore del novecento è un uomo spogliato dalla sua individualità e ridotto ad essere sfaccettato in mille giudizi, etichette, classificazioni, che da uno lo portano ad essere centomila e dall’altro nessuno: perché in questi centomila non vi è il suo essere, ma il filtro di chi lo osserva. Così, è anche per chi viene condannato per associazione mafiosa: diviene prima centomila, nei pettegolezzi della gente, e poi nessuno. L’avvocato Giuseppe Lipera durante un’arringa di un processo di mafia, del 24 marzo 2015, dice chiaramente che: « una persona condannata per associazione mafiosa non può più esistere, non può più aspirare ad un lavoro, dovrebbe trovare chi lo mantiene o diventare veramente un mafioso». Questo, perché «la legislazione è contorta, confusa, orrenda». La legislazione è specchio della nostra società, che non è poi tanto diversa da quella dei primi del novecento, vissuta e descritta da Pirandello. Anche se gli anni scorrono velocemente, non si assiste ad un’evoluzione che, invece, si attende, sogna e spera. Un’altra opera intitolata “La patente” rispecchia le parole pronunciate dall’avvocato Lipera, in quanto il condannato non ha che sposare la sua condanna e vivere il ruolo assegnatoli, chiedendone ironicamente addirittura una “patente”. Lipera, ancora dice: «Il processo penale a differenza da quello civile è un processo dell’essere e non dell’avere». Una frase incisiva che rievoca l’identità umana. Il condannato perde il suo essere nella drammaticità di una pena, che può essere, come nel caso di quest’arringa, diciotto anni e sei mesi. L’avvocato in questa sede non imbastisce un discorso da novellino, ma parla con forti fondamenta di esperienze legate alla storia della tormentata Sicilia e a nomi, che non possono essere dimenticati, come Falcone e Borsellino, che hanno formato la cronaca catanese e la storia della giustizia italiana. Cita anche la statua sita davanti il Palazzo di Giustizia a piazza Verga (CT): una statua che sui palmi delle mani ha due uomini in miniatura, nudi: uno si copre il viso per la vergogna della colpa e l’altro a viso scoperto tende i palmi della mani aperti, perché non è colpevole e non ha nulla da temere. Il linguaggio dell’arte è emblematico di quello che ci si aspetta in un Palazzo di Giustizia, ovvero quel luogo in cui si deve mettere in atto una netta e corretta catalogazione di chi ha colpa e chi no.