Paolo Borsellino: 19 Gennaio 1940 – 19 Luglio1992
di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia
Da “Attacco allo Stato“, il «Messaggero», 20 Luglio 1992.
«Lima, Falcone, Borsellino: ma i “nemici” che la mafia ha deciso di abbattere come birilli non sono solo questi tre. Delitti di matrice diversa, ma riconducibili tutti in un disegno. Un disegno che si va delineando con maggiore chiarezza proprio mentre omicidi e stragi si succedono di due mesi in due mesi. Si comincia con Lima, un politico che, come ha sottolineato Giuseppe Ayala, “in passato aveva garantito e non era più in grado di niente garantire”. Lo spartiacque tra il “prima” e il “dopo” risale al 31 gennaio scorso, quando la Cassazione mette una pietra tombale sulle speranze della grande mafia detenuta. Sono ergastoli, è soprattutto il riconoscimento del teorema Buscetta, la definitiva linea di legittimazione che magistrati come Falcone e Borsellino sono riusciti a mettere a punto, nonostante i tanti ostacoli incontrati sulla loro strada, anche in Cassazione. Ma quella sentenza non si “scarica” solo sulla mafia arrestata in seguito alle accuse dei primi pentiti, cioè sugli imputati del maxiprocesso e sui suoi stralci. Essa avrà una valenza severa anche nel futuro, dunque sui processi in fase di istruzione, che sono tanti e non solo a Palermo. Palermo aveva vissuto una calma irreale durante tutta la celebrazione dei processi. Una calma rarefatta con il più basso indice di delitti mafiosi e senza quasi vittime eccellenti. Con due sole eccezioni: l’uccisione a presiedere l’Appello del maxiprocesso e la cui sintonia con Falcone e il pool ormai disciolto è ben nota, e a Reggio Calabria l’assassinio di Antonio Scopelliti, il magistrato che avrebbe dovuto essere requirente in Cassazione del primo maxiprocesso. Due delitti, questi, secondo la comune lettura di Borsellino e di Falcone, preventivi, che estromettevano magistrati posti su una ben nota linea di tendenza processuale. Ma è significativo osservare che contemporaneamente una cosa di Trapani, una cosca minore ma ben inserita nel traffico di droga, chiede a Palermo l’autorizzazione a uccidere Borsellino, che come procuratore locale della Repubblica faceva “danni”. L’autorizzazione non è concessa, osservava Borsellino, proprio perché in quel momento Cosa Nostra non intendeva accedere i riflettori dell’opinione pubblica nazionale contro se stessa. Dopo la sentenza della Cassazione non c’è più una gestione soft, ma si passa alla guerra a viso aperto. Prima un segnale forte e duro alla politica siciliana, a quella sua classe, in modo particolare, che si è illusa di poter continuare con la mafia in un modus vivendi ultrasecolare. L’illusione di potersi incontrare in una sorta di zona franca di Palermo, dove dialogare per poi, mafia o non mafia, fare ritorno nei rispettivi territori. Dopo la politica vengono colpite le vere intelligenze che possono dirigere le istruzioni statali contro Cosa Nostra e i suoi interessi. Si stipulano, dunque, “contratti” per eliminare, costi quel che costi, anche la strage occasionale e imprevedibile, queste intelligenze. Tocca prima a Falcone: è stato il motore dell’anitimafia giudiziaria, ha lavorato come ha potuto e non come avrebbe voluto. Il 21 febbraio 1991, mentre i boss uscivano dal carcere per scadenza di termini, lui “emigrava a Roma”, quasi cacciato da Palermo. Una vittoria anche della mafia? Una vittoria di Pirro, si scopre ben presto, dal momento che per la prima volta, su suggerimento di Falcone, i boss tornano, dopo 18 ore di libertà trascorse a casa, all’Ucciardone, raggiunti – ed è la prima volta nella storia d’Italia- da un mandato di cattura che ha le forme giuridiche del decreto legge. Sotto uno stesso governo, quello di Andreotti, si tocca il punto più basso dell’immagine delle istituzioni chiamate a fronteggiare Cosa Nostra e, 18 ore dopo inizia la risalita. Si determina un nuovo clima che Falcone definisce “politico-giudiziario”: è composto da tanti segnali che Palermo sa cogliere meglio del resto del Paese. Per esempio viene inquisito, con scarso fondamento sostanziale un magistrato, Pasquale Barreca, che tra varie interpretazioni di una legge ne ha adottata una che oggettivamente appare un favore al boss Vernengo che ne profitta per darsi alla latitanza. Barreca verrà ampiamente prosciolto dal Csm, ma il segno politico che sta dietro l’iniziativa di Falcone-Martelli viene interamente colto a Palermo. Dopo Falcone tocca a Borsellino: è un magistrato che ha tutto il patrimonio di coscienza e di sensibilità che la mafia ha voluto azzerare con la strage di Capaci e, se venisse nominato alla testa della superprocura, potrebbe fare ancora molto. È la strategia della terra bruciata. Ed è solo agli inizi».