Che tipo di funerale per un boss?

Che tipo di funerale per un boss?

di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia

 

Ritualità funebre, significato e usanze e critiche. Il caso attuale del funerale di Vittorio Casamonica.

candela1_00325_02_itQuanto clamore per un’esequie! Ma cos’è un funerale in fin dei conti? Si tratta di un antico rituale, che viene celebrato fin dagli albori della nostra esistenza. Un mero rito, quindi, un semplice atto di accompagnamento e di celebrazione di quel passaggio da vita a morte, in cui si accompagna il proprio familiare e/o amico al suo nuovo destino. Una fase, in cui chi rimane in vita soffre la privazione dell’altro e ne deve rielaborare la separazione. Anticamente, i riti venivano celebrati, in particolare, durante i cambiamenti delle stagioni, e cosa non è un funerale se non un autunno in cui cadono le foglie e lascia lo spazio al freddo dell’inverno che a sua volta, grazie alla consapevolezza della nostra umanità mortale, lascia il posto alla primavera? Si tratta di un ciclo di vita accompagnato da rappresentazioni festose, che ne anticipano il finale. Il rito funebre in Italia Meridionale ha conservato i tratti festosi del mondo ellenico, in cui ad un primo momento di pianto e tristezza profonda segue un momento di festa. Alcuni funerali sono seguiti da banchetti, come avviene in Sardegna, in cui il mangiare insieme festosamente celebra il passaggio dell’anima ad altra vita in una sorta di clima grottesco e basso corporale in cui viene esaltata la vitalità attraverso il nutrimento, il riso e la musica. Un ruolo fondamentale è, infatti, dato dalla musica, che ha la funzione di comunicare emozioni ben precise sublimando quanto le parole non potrebbero esprimere. Accompagnare un defunto con la musica significa celebrare la fase finale della sua vita, salutarlo e augurargli un percorso sereno. Citando i classici, Antigone è l’emblema della ritualità funebre: una ragazza che avendo appreso della morte del fratello in terra straniera, scappa affrontando ogni pericolo, al solo fine di donare la dovuta sepoltura al fratello evitando anche che la sciagura ricada su tutta la famiglia. Un esempio della classicità utile a comprendere l’importanza dell’antico rito funebre. Ne “I promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, c’è un passo, molto emozionante, in cui una madre celebra un suo funerale, in forma privata, alla piccola figlia morta di peste. Non la depone sul carro come tutti gli altri, ma la veste “a festa” con gli abiti più belli e la tiene in grembo, come quando era in vita. In questo passo si legge una profonda forma di rispetto verso un corpo e un’anima che sta per diventare “cibo per i vermi”, ma che è stato vita, gioia, affetto, per se e per i suoi cari e che sarà altro, perché la morte è solo un passaggio. La ritualità altro non è che una celebrazione di una successione temporale a cui prende parte una trasformazione di un essere legato alla nostra sfera familiare, quotidiana, comunitaria, sociale. Una sorta di rivisitazione della Passione di Cristo celebrata dalla Chiesa ogni anno, come memoria di una storia di Salvezza. Sempre al sud Italia e anche in Spagna, si è ancora soliti festeggiare la settimana Santa con veri e propri drammi teatrali, in cui si poggia una statua del Cristo morto su una lettiga e la si lascia poi esposta in Chiesa. A questa rappresentazione le donne si presentano con il velo nero, portano in dono fiori e piangono disperate la morte del figlio di Dio, in una sorta di rievocazione di un momento del passato da ricordare, per esaltarne poi la resurrezione che è eterna. In questa stessa Italia, in cui i riti, gli usi e i costumi hanno ancora la loro libera espressione, come si può giudicare se un funerale è stato troppo sfarzoso, troppo pomposo o troppo umile, troppo modesto? Proprio perché si tratta di una rielaborazione di distacco di persone emotivamente coinvolte è giusto che questo rito venga celebrato in base ai propri usi e costumi e alle proprie emozioni. Allo stesso modo, non si dovrebbe nemmeno considerare un rito funebre in base alla fama, positiva o negativa, avuta in vita dal protagonista, oppure dal quella di tutta la sua famiglia, perché Dio è Misericordioso e le sue braccia sono tese a tutti, pronte a lavarli da ogni peccato se pentiti. Sempre ne “I promessi Sposi” si ha prova di come addirittura l’Innominato sia abbracciato dalla Misericordia di un Dio che non attende altro che il suo pentimento. Nessun umano può vantare di conoscere il giudizio divino e questo lo insegna Dante Alighieri nella “Divina Commedia”: nel Canto V del Purgatorio si incontra Bonconte da Montefeltro, un uomo macchiato da ogni atroce peccato ed etichettato da tutti i comuni mortali, tranne che da Dio. Eppure, Dante lo descrive in Purgatorio e non in Inferno a Caina, dove vi sono le anime dei peggiori dannati. A salvarlo è stato un semplice atto di fede durato pochi secondi in confronto ad una vita intera. Nel v. 97 lo troviamo in battaglia, ma fermo e ferito, vicino l’Arno con la gola squarciata. Un momento di intensa paura e presa di coscienza dell’imminente morte, in cui Bonconte ha riconosciuto la potenza di Dio e ha chiesto aiuto alla Madonna. Solo con questo gesto ha scontato tutte le pene e ha meritato l’abbraccio misericordioso del perdono di Dio. Nessun umano può giudicare i cuori e forse bisognerebbe percorrere il cammino di Dante per poter esprimere l’ultima parola su un’anima tant’è che altri sono gli esempi narrati nella Divina Commedia: Paolo e Francesca, Giudo da Montefeltro, padre di Bonconte da Montefeltro.

Avvocato Giuseppe Lipera.

Avvocato Giuseppe Lipera.

Nessun umano può giudicare quello che è sigillato nel cuore di un uomo, questo giudizio non è terreno e spetta a Dio. Eppure, circa due anni fa, un vescovo di Acireale, Antonio Raspanti, aveva decretato il divieto di funerali ai condannati per mafia. La notizia era comparsa il 24 giugno 2013, su «LiveSiciliaCatania» in cui era stata pubblicata una missiva scritta dell’avvocato Giuseppe Lipera,  che aveva criticato tale decisione elencandone le motivazioni, tra cui non manca una citazione al caso di Enzo Tortora: «Fortunatamente Enzo Tortora morì nel 1988, dopo l’assoluzione definitiva, perché se fosse morto nel 1986, con sul groppone una condanna a dieci anni di reclusione per associazione mafiosa finalizzata al traffico di stupefacenti, col “decreto Raspanti” la sua salma non sarebbe potuta entrare in chiesa». In questi giorni a Roma è stato celebrato il funerale di Vittorio Casamonica, noto dicono come boss (eppure era libero, non era in carcere). Un funerale che è stato decantato come “stile Padrino”. Il fatto è diventata questione di accese diatribe e la famiglia lamenta: “Era il nostro Papà, ci state disonorando”. Un grido espresso in un momento di profondo dolore che denota un’impossibilità di rielaborare serenamente il proprio lutto, perché preso di mira e contestato di una celebrazione che esprime usi costumi e una sfera di pathos familiare entro cui nessuno dovrebbe influire, lasciando lo spazio ad una dovuta sepoltura. Tra le polemiche è stata contestata anche la Chiesa che ha aperto le proprie porte ad una salma conosciuta dalla gente come macchiata di crimini mafiosi, sottovalutando che Dio è morto in croce per tutti e chi siamo noi per giudicare i nostri fratelli. Un passo del vangelo dice: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?” (Lc 6, 41). Viviamo, ormai, in una società in cui si è soliti accendere questioni nuove in ogni contesto senza focalizzare più i veri problemi che ci intralciano il cammino, in un’Italia in cui troppe buche ostacolano il futuro. Sempre Giuseppe Lipera, in merito al funerale di Casamonica ha scritto su Facebook: «L’Italia è il paese dalle facili irritazioni emotive, complici sodali quasi tutti i mass media e certi soliti politici, tanto chiassosi quanto poco fattivi. Ci si indigna, coram populo, se un bambino appena nato (quindi non ancora cosciente) viene tolto ai genitori, rei soltanto di essere crudeli e atroci criminali, mentre nessuno, o quasi, protesta se una bambina di sette o dieci anni, su proposta dei servizi sociali, viene reclusa in una casa famiglia benché figlia di genitori per bene ma conflittuali tra di loro. Che dire poi dello sdegno indescrivibile per il funerale troppo pomposo di Roma, perché alla fine solo di questo si è trattato, manco se fosse stata consumata una strage (non mi risulta, peraltro, che abbiano già previsto il reato di “funerale troppo sfarzoso”, ma sicuramente qualcuno, legislatore o giurisprudenza che sia, provvederà quanto prima a colmare questa lacuna normativa)”. E ancora, “Questi sono” – scrive l’avvocato catanese – “due esempi chiari ed eclatanti di manipolazione di massa: povertà, degrado urbano, disoccupazione, crisi economica, sociale, politica, morale, esodo immigrati, donne violentate in strada, ospedali fatiscenti, detenuti innocenti, i veri drammi insomma, passano tutti in second’ordine. Viva l’Italia. Catania 22 agosto 2015». A tal riguardo aggiunge anche: «Non possiamo che condividere questo pensiero, augurandoci che venga il tempo che ognuno rifletta con la propria testa, senza farsi condizionare dai frastuoni mediatici oggi tanto in voga. Un ultimo pensiero va al grande Totò che scrisse “A livella”, che molti forse hanno dimenticato, e poi una domanda finale: ma si può avere paura di un morto? Può un morto rappresentare un pericolo per la società chi esso sia stato?»

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