Lo scemo del villaggio.
Lo scemo del villaggio: il perseguitato, il rifiutato, l’oppresso. Esempi della letteratura e del teatro.
«Scemo è chi scemo lo fa, Signore», frase pronunciata da Tom Hanks, nel film Forest Gump. Ma, chi è quello che comunemente definiamo ‘scemo’. Qualcuno che attua meccanismi per noi banali, superati, immotivati, arretrati, colui che ci appare ‘diverso’. Il lemma del dizionario corrisponde alla dicitura ‘ individuo poco intelligente’. L’etimologia indica qualcosa o qualcuno che non è pieno, non è intero, quindi carente di qualcosa. La società da sempre etichetta qualcuno come ‘scemo’ed è un carattere ricorrente in ogni gruppo, comunità o villaggio. Lo scemo è colui che viene deriso, rifiutato, comunemente definito come l’idiota. Spesso, coloro che divengono santi, per arrivare ad una grandezza totale dello spirito hanno bisogno di vivere in situazione di povertà e sono visti come scemi, folli. San Francesco era e si definiva lui stesso “folle in Cristo”. Nella scena rappresentata nel ciclo pittorico delle storie di vita del Santo, nelle pareti della Basilica superiore di Assisi, dal titolo “La rinuncia agli averi”, si possono osservare alcuni personaggi della folla intenti a lanciare sassi verso Francesco. Questo atto denota beffa, rifiuto, derisione, esclusione. In campo teatrale il maestro Jerzy Grotowskij (1933-1999) ha messo in scena, nel 1965, un’opera intitolata “Il principe costante”, prendendo spunto da un’opera di P. Calderón de la Barca. Il principe protagonista era costante nella sua sofferenza, e si tratta di un personaggio rifiutato dalla società in quanto etichettato come “scemo del villaggio”. Avendo ricevuto male da chi gli sta intorno lo ha assimilato e interiorizzato. Nel corso dell’opera questo personaggio arriva a maltrattarsi con episodi di autolesionismo. L’unica scelta che ha per trovare un posto nella società non è altro che schierarsi con chi si prende beffa di lui. Si allea con il suo nemico. Anche nella Divina Commedia di Dante, nell’Inferno, al canto XXXIII, vv.1-78, incontriamo la figura del Conte Ugolino. Questo personaggio vive esperienze tragiche di profonda sofferenza che sfocia in una reazione brutale e animalesca. L’esperienza del male subito viene, anche qui, interiorizzata scatenandosi in gesti feroci contro la sua stessa prole. Un esempio noto nella letteratura, attraverso il romanzo “Frankenstein” di Mary Shelley. Qui l’essere creato in laboratorio nasce d’animo buono e sensibile, ma una volta viste le ripetute reazioni, degli altri esseri umani, alla sua vista scatta in lui un meccanismo di accettazione e messa in pratica dell’etichetta assegnatagli. Una dinamica molto sottile e utile alla riflessione, perché ogni qual volta sfoghiamo del male verso il nostro prossimo possiamo divenite i creatori di un mostro brutale.
Pubblicato in «Controluce», Febbraio 2014.