Il volto della Sicilia secondo il prof. Buttitta
di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia
Quesito rivolto al prof. Ignazio Buttitta, docente di Antropologia presso l’Università di Palermo.
Qual è il volto della Sicilia che traspare dalle tradizioni e dalla cultura popolare?
«Siamo inclini a rappresentarci le cose del mondo, in particolar modo quelle da noi più distanti nello spazio o nel tempo, attraverso stereotipi, i quali vengono costantemente rinforzati, oggi più di ieri, dagli organi di informazione, da serie televisive, da certa letteratura (si pensi, in primo luogo ai romanzi di Camilleri). Se alcune di tali rappresentazioni possono ricondursi alla dimensione del mito, altre si fondano su fatti concreti che tuttavia, enfatizzati oltre misura, finiscono con l’oscurare altri importanti aspetti della realtà: sociali, culturali, paesaggistici, ecc. Così è per la Sicilia, regione la cui fama è legata, innanzitutto, al suo patrimonio archeologico (la Valle dei Templi, il tempio di Segesta, le rovine di Selinunte, il teatro di Siracusa, ecc.), artistico (il barocco della Val di Noto, i mosaici d’epoca normanna di Palermo e Monreale, ecc.), ambientale (le spiagge di San Vito lo Capo, di Cefalù, di Menfi, ecc.; il mare delle isole minori, l’Etna, ecc.), culturale (i carretti siciliani, l’opra dei pupi, ecc.) ma anche, su un altro piano, alla piaga sociale del fenomeno mafioso e ai principali fatti di cronaca a questo connessi: le stragi di Capaci e di via D’Amelio, gli omicidi di Pio La Torre, Livatino e di tanti altri servitori dello Stato, oltre che a una certa “arretratezza” dei costumi (la sottomissione delle donne al potere maschile, il familismo amorale, l’omertà, il senso dell’onore, etc.). Eppure, come bene osservava Bufalino intitolando un suo lavoro Cento Sicilie, l’ambiente e la cultura dell’isola sono assai più diversificate e complesse e presentano, da luogo a luogo, delle, talora sorprendenti, peculiarità. Basti pensare ai paesaggi montani dei Nebrodi e delle Madonie, alla variabilità locale e alla ricchezza dei prodotti gastronomici (frutto della stratificazione di pratiche alimentari proprie dei tanti popoli che si sono avvicendati nell’Isola), alle molteplici e “esotiche” (falò, orge alimentari, danze dei simulacri dei santi, processioni di rami di alloro, ecc.) tradizioni religiose che denunziano, insieme, la rifunzionalizzazione di un simbolismo rituale di ascendenza precristiana, il permanere, in larghe fasce della popolazione, della fede nell’intervento risolutore dei Santi (nella malattia, nel lavoro, ecc.), l’esigenza di “fare comunità” attraverso un linguaggio antico e noto, quello della festa, autentico spazio-tempo di rifondazione e rafforzamento dei legami familiari e sociali e di celebrazione della propria appartenenza (potrebbe dirsi “identità”). La festa, pubblica o privata, è l’occasione in cui, massimamente, si esalta il valore sociale dell’accoglienza e della condivisione, un valore sociale, è opportuno rilevarlo, messo fortemente in crisi dalla crescente precarietà delle condizioni economiche e dai flussi migratori incontrollati, e che va distinto da quelli della solidarietà e della cooperazione che, per precise ragioni storiche, non sono radicati nella cultura isolana. Non bisogna dimenticare che almeno fino agli anni Cinquanta la Sicilia era una regione essenzialmente contadina e che all’affrancamento dalla terra, dalla fatica e dal rischio, non ha fatto seguito un diffuso e durevole processo di sviluppo industriale, piuttosto altre e forse più temibili forme di precarietà. L’assenza di un’economia forte e vitale, di prodotti competitivi da immettere sul mercato e di investimenti sulla ricerca e sull’accrescimento diffuso dei saperi, la disoccupazione sempre crescente, un terziario gonfiato dalle politiche clientelari, la carenza e lo stato di abbandono delle opere pubbliche, l’inadeguatezza delle strutture e dell’assistenza socio-sanitarie, le disfunzioni e le lentezze dell’amministrazione pubblica, l’incancrenirsi delle politiche assistenziali, il dilagare dell’associazionismo malavitoso, questi e altri elementi, tra loro inestricabilmente concatenati, hanno contribuito ad abbassare il livello della qualità della vita fino a minacciarne il suo stesso senso.»
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