Come educare gli adolescenti?
di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia
Educare alla vita. Due quesiti su come educare gli adolescenti rivolti alla dott.ssa Francesca Boveri, psicologa.
In che modo si può collaborare tra docente e psicologo al fine di educare gli adolescenti ad un giusto e corretto approccio con il “gioco”?
«L’adolescenza costituisce la fase del ciclo di vita in cui il bisogno di rischiare si esprimere con la massima intensità: in particolare, l’adolescente sperimenta nuovi stili di comportamento, mette alla prova le proprie abilità e competenze, cerca di ampliare il proprio orizzonte di autonomia, anche attraverso esperienze avventurose, rischiose ed inusuali, alla ricerca della propria personalità ed unicità. L’adolescente tende a sottostimare il rischio e ad essere irrealisticamente ottimista circa le proprie probabilità di superare un pericolo senza conseguenze. In parte, questo rientra nei normali processi di sviluppo, tuttavia appare importante, dal punto di vista dell’adulto con ruolo educativo (genitore, insegnante) incanalare correttamente la tendenza dei giovani alla sperimentazione, affinché l’assunzione di rischio non sconfini in un “gioco pericoloso” dalle tragiche conseguenze. L’azione preventiva, tra l’altro, risulta tanto più importante per il fatto che è proprio nell’età adolescenziale che si costituiscono e via via si consolidano i pattern comportamentali disadattivi.
In ambito scolastico, psicologo ed insegnanti possono collaborare nella costruzione di programmi di prevenzione del rischio, che comprendono specifiche attività di informazione e formazione rivolte agli adolescenti, agli insegnanti stessi ed alle famiglie. Questi programmi, che si avvalgono di un’ottica di tipo psicoeducativo, sono finalizzati a sviluppare competenze ed abilità, sia emotive che cognitive, orientate al fronteggiamento delle difficoltà e dei fattori di rischio, come la capacità di prendere decisioni, la capacità di risoluzione dei problemi (problem solving), il pensiero creativo, il pensiero critico, le abilità di comunicazione efficace, le capacità di relazione interpersonale, l’autoconsapevolezza, l’empatia, la gestione delle emozioni e la gestione dello stress.[1]
Indipendentemente dall’avvio di programmi di prevenzione strutturati, la scuola, attraverso la collaborazione tra insegnanti e psicologo scolastico e l’informazione alle famiglie, può favorire lo sviluppo delle abilità di fronteggiamento attraverso la promozione della discussione e del confronto in classe, avvalendosi anche degli spunti forniti dagli eventi di cronaca. La possibilità di esprimere la propria opinione, di commentare gli eventi, di ascoltare l’opinione altrui e di esprimere i propri vissuti e le proprie emozioni all’interno di un contesto empatico e rispettoso (anche della privacy individuale), favorisce lo sviluppo delle abilità comunicative e relazionali e consente l’esercizio dello spirito critico attraverso il confronto coi coetanei. Nel contesto dei gruppi di discussione è lo psicologo, esterno alle dinamiche del rapporto – necessariamente anche valutativo – insegnante-alunni, a rivestire il ruolo di moderatore della discussione, stimolando la riflessione e favorendo il più possibile – pur senza forzarne l’intervento – la partecipazione attiva di tutti i componenti della classe».
Quali sono i segnali di squilibrio manifestati dagli adolescenti e che i genitori dovrebbero essere in grado di percepire per poter intervenire?
«Un importante fattore di vulnerabilità in adolescenza è costituito dallo stress, o, più specificatamente, dalle reazioni che l’adolescente può sviluppare ad eventi stressanti, legati a stressor quotidiani o ad eventi non fisiologici – cioè non in linea con i normali compiti di sviluppo – come separazione/divorzio dei genitori, lutti familiari, perdita del lavoro di un genitore, ecc..
In quest’ottica, appare assai utile che l’adolescente stesso impari a riconoscere e ad identificare gli elementi di stress della propria vita, insieme alle proprie reazioni fisiche ed emotive in grado di segnalare la necessità di mettere in campo le proprie abilità di fronteggiamento per ripristinare un adeguato equilibrio.
Dal punto di vista del genitore, può essere importante osservare l’insorgere di cambiamenti improvvisi o graduali nella condotta del figlio, in relazione all’ambito scolastico (per es., calo del rendimento, demotivazione allo studio), amicale (es: rifiuto dei coetanei, isolamento sociale), familiare (es: alta conflittualità con genitori o fratelli, aggressività fisica) o corporeo (es: frequenti malesseri fisici senza chiara causa organica, modifiche nel comportamento alimentare). Comportamenti eclatanti come l’uso di sostanze, la guida pericolosa per i maggiorenni o il comportamento aggressivo costituiscono campanelli d’allarme importanti, indicativi di un significativo livello di stress o di disagio. Tuttavia, anche comportamenti di chiusura e di isolamento, sociale e familiare, possono essere indicativi di problemi e difficoltà, anche se l’espressione del disagio potrebbe risultare meno evidente perché meno “esternalizzata”.
Una buona prevenzione, finalizzata ad evitare che l’adolescente incorra in eccessi che superino il limite oltre il quale la normale sperimentazione di atteggiamenti e comportamenti diventa effettivamente pericolosa, aiuta anche i genitori a sostenere i figli nel loro processo di crescita, senza necessariamente ricorrere ad interventi correttivi.
Parlare, confrontarsi, contrattare (anziché dare regole rigide di comportamento), sostenere l’autostima e il senso di autoefficacia[2] dei propri figli, favorire l’autocontrollo facendo da modelli positivi, dare aiuto quando richiesto e favorire l’espressione della richiesta d’aiuto (quando è necessario), costituiscono modalità di relazione e interazione protettive rispetto ai “rischi” insiti nel percorso che porta verso l’età adulta».
[1] Bertino e col., 2000
[2] Il senso di autoefficacia corrisponde al sentirsi fiduciosi nelle proprie capacità di affrontare le difficoltà e le sfide. L’autostima, invece, corrisponde al valore che la persona attribuisce, in generale, a se stessa.