Dante insegna: non si può giudicare quello che si nasconde nel cuore di un uomo
di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia
Cosa ci aspetta dopo la morte? La risposta è stata scritta nella Divina Commedia da Dante Alighieri di cui quest’anno celebriamo i 770 anni di anniversario dalla nascita.
Non si può parlare del destino ultraterreno senza citare Dante Alighieri, l’autore della Commedìa, poi chiamata da Boccaccio la “Divina Commedia”. Dante in quest’opera è scriba Dei, scrittore di Dio che lo ha incaricato di compiere il viaggio nel mondo ultraterreno, per scrivere una testimonianza utile agli uomini di ogni tempo. Un viaggio allegorico in cui s’incrociano mille destini diversi dovuti alla condotta morale avuta in vita.
Ci sono Paolo e Francesca i giovani amanti, puniti per l’aver troppo amato in un contesto che profanava le leggi umane, ma come ben dice Francesca “amor ch’al cor gentil “ non era un peccato del cuore e le leggi divine prevedono di amare. In effetti, la bella e giovane Francesca era stata data in sposa ad un uomo anziano che non amava e la sua natura umana ha amato per la prima volta e in modo puro solo Paolo, anche se profanando leggi divine e una promessa di matrimonio. Eppure, oggi quante volte si parla di misericordia difronte a peccati di consacrati. Ben dice Francesca “Caina attende chi a vita ci spense” pensando alla fine meritata da colui che li ha uccisi. Dante stesso, si era commosso dinanzi al racconto di Francesca cadendo svenuto “come corpo morto cade” in quel luogo dell’inferno, tra le prime bolge, lontane da Lucifero, dove vi è vento e freddo gelido. Contrariamente a quando più si scende verso il vortice in cui dimora Lucifero e ci si addentra nel caldo infernale. Questo sbalzo di temperatura contraddistingue i peccatori che hanno troppo amato da quelli che hanno troppo poco amato. Rispettando il concetto secondo il quale Dio chiede di amare, ma in modo equilibrato.
Nell’Inferno, al Canto XXVI Dante incontra l’anima di Guido da Montefeltro, un personaggio che tutti i vivi credono sia finito in paradiso, in quanto ad età avanzata, si era convertito, aveva lasciato addirittura la famiglia ed era entrato nell’ordine dei Frati minori di San Francesco d’Assisi. La sua, quindi era stata una morte in odore di santità, tutti lo credevano in Paradiso. Eppure, Dante lo incontra nell’Inferno. Che cosa era successo a questo personaggio? Nell’opera è Guido stesso a raccontare la sua storia. In un primo momento si rivolge a Virgilio, ma questo, quasi ironicamente gli risponde “Vattene se no ti attizzo” giocando con il termine riferito alle fiamme tra cui Guido si trovava. E così, Guido certo di essere in un luogo da cui nessuno può ritornare alla terra, scambia Dante per un’anima dannata e si rivolge dicendo di volergli raccontare la sua storia proprio, perché ormai dannato non potrà mai ritornare in terra per diffondere la notizia. Al verso 61, infatti vi è scritto: “se io potessi rispondere ad una persona che può tornare nel mondo io potrei tacere, ma visto che da qui nessuno torna al mondo e tu sei sicuramente un dannato”. Dante tace! La sua sete di fama lo trattiene, la sua missione di scrivere un’opera al ritorno è più importante della sincerità. -Già solo per questo Dante dovrebbe finire in Inferno, ma per saperlo con certezza bisognerebbe essere incaricati da Dio a compiere il viaggio.- Guido narra, dice di essere stato peccatore e tra le menti più astute in campo militare, un astuto condottiero, il comandante dei Ghibellini romagnoli, un antipapale, ma di aver cambiato vita, pentendosi di ogni peccato e abbracciato dalla Misericordia divina era entrato in convento prendendo i voti. Quando, un giorno, Papa Bonifacio che era in guerra con la famiglia romana Colonna, recatosi in convento chiese a Guido un consiglio per vincere (v.100). Bonifacio aveva minacciato Guido di scomunica e allora, questo aveva rivelato la tattica. Il papa gli aveva promesso di assolverlo dai peccati, ma non lo ha fatto! Il consiglio di Guido consiste nel promettere molto senza mantenere la promessa, un consiglio fraudolento infatti, Guido è in quella zona dell’Inferno dove sono puniti i peccati fraudolenti. La pena di questo personaggio è paragonabile alla vicenda del “bue di rame di Sicilia” costruito da un tiranno siciliano per far rinchiudere un condannato e farlo morire bruciato, con dei fori nel muso del bue, al fine di far uscire le grida, come fossero i versi dell’animale stesso. Si narra che la prima volta in cui si è udito il muggito di questo maiale sia stata proprio attraverso le urla del costruttore stesso. Dante dice “usciva dalla fiamma un suono confuso” riferendosi a Guido, perché si ha una figura di colui che viene punito dai suoi stessi inganni. Nel momento del decesso, come si narrava nel Medioevo, vi era la lotta tra due angeli, uno del Paradiso e uno dell’inferno, per il possesso dell’anima del defunto. Nel campo santo di Pisa vi è tuttora un affresco che narra un episodio in cui gli angeli lottano per lo strappo dell’anima dal morto, scena accompagnata, anche da versi in ottave. Nel caso di Guido come ben dice Dante “assolvere non si può chi non si pente”, al v. 123 in cui si ha la base del pensiero logico tradizionale: il diavolo dice a Guido “tu non pensavi che io sapessi usare la logica umana”. Il pentimento deve essere dopo il fatto, ma mentre compio il peccato non posso essere assolto. Non si può ricevere assoluzione in questa situazione, per un problema di logica. Qui entra in campo la logica aristotelica secondo cui la volpe non ha pensato una cosa così banale di dogmi. Volpe e non leone dice Guido a Dante “io combattei come una volpe e non come un leone”, si è fatto ingannare, e continua a farsi ingannare anche da Dante! Perché non gli rivela di essere vivo e di voler diffondere la notizia della sua condanna in Inferno.
A conferma di come la mente umana non possa comprendere il giudizio ultraterreno vi è un’altra vicenda, narrata da Dante nel Canto V del Purgatorio, in cui il protagonista è il figlio di Guido, Bonconte da Montefeltro, un peccatore creduto da tutti in Inferno, invece si trova in Purgatorio, eppure combatteva per la schiera dell’anticristo (Federico II). Nel v. 97 lo troviamo in battaglia, ma fermo e ferito, vicino l’Arno con la gola squarciata. Scena di un uomo che fugge con il sangue alla gola, ormai sul punto di morte. La vista gli si era oscurata, ha avuto paura della morte e ha pregato chiamando Maria Santissima chiamandoLa madre. Questo grido ha di una sola parola “madre” ha fatto sì che alla lotta dello strappo dell’anima vincesse l’angelo buono. Quindi, vi è da un lato il padre morto con un’assoluzione che per logica non ha effetto e dall’altra il figlio che per una sola parola viene salvato. Vi è in quest’intreccio una tesi d’impossibilità dell’uomo del conoscere il giudizio, la superbia del giudizio. Non si può giudicare quello che si nasconde nel cuore di un uomo.
Fonte: Tiziana Mazzaglia, Non si può giudicare quello che si nasconde nel cuore di un uomo, in «SocialNews», 17/06/2014.