I primi frutti della marcia del 5 maggio
di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia
Un successo di partecipanti allo sciopero dello scorso 5 maggio. L’altissimo numero di manifestanti che ha sfiorato 80% delle adesione, con 100mila partecipanti in ogni piazza delle principali città Italiane, per un totale di mezzo milione in tutta Italia, non è stato proprio paragonabile ai “tre fischi” di cui parlava il premier Matteo Renzi. Un esito che di rumore ne affatto talmente tanto da convocare, oggi, con urgenza tutti i sindacati. Il PD ha deciso di accettare il dialogo e le posizioni dei rappresentanti dei sindacati è rimasta conforme a quanto ribadito in questi giorni cioè al ritiro del DDL. Il presidente del sindacato Anief, il prof. Marcello Pacifico, che lo stesso giorno della marcia ha depositato una denuncia a Bruxelles per il DDL, oggi al termine della convocazione ha comunicato:
«Al Nazareno abbiamo chiesto in un’ora e mezza d’incontro di riscrivere integralmente il testo e di assumere subito tutti i precari. Ci sono i posti e i soldi possono essere presi dal fondo del merito. No alla chiamata diretta e alla cancellazione delle GAE, tutti in ruolo, anche da graduatorie d’istituto e di merito, recupero tempo scuola, assegnazione provvisoria, quota 96, sostegno, mobilità, supplenze, riserve, idonei, ATA, educatori, poteri dei dirigenti. Questi gli argomenti. Siamo pronti a ricorrere in Italia e in Europa se non sarà cambiato il testo. La mobilitazione continua».
Un varco di speranza è aperto per tutti coloro che in questi anni hanno creduto e vissuto per la scuola pubblica. Intanto, anche il Movimento a 5 stelle sostiene i precari della scuola e sono significative le parole pronunciate dal deputato Alessandro Di Battista durante un’intervista Rai:
«Si creeranno sempre di più scuole di serie A e scuole di serie B, studenti di serie A e studenti di serie B. La verità è che questo sistema vuole una parte di popolazione povera e ignorante perché così è controllabile, perché gli ignoranti sono controllabili e i poveri per disperazione si vendono il voto».
Una morte della scuola pubblica, quindi che vorrebbe implicare una morte collettiva dell’Italia, ma senza tener conto della loro voglia di vivere manifestata durante le marce.