Intervista alla Criminologa Monica Capizzano
di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia
Intervista alla criminologa, professoressa Monica Capizzano, che insegna al CIELS di Gorizia e all’ UNISED di Milano , autrice di diversi libri, come “Droghe da stupro. Quando il risveglio ha un retrogusto amaro“.
- Come e quando ha iniziato ad appassionarsi di criminologia?
«Da piccola mia Nonna, per intrattenermi, mi faceva guardare la Signora in giallo e il tenente Colombo e mi spiegava come scovare il colpevole. A parte questo ricordo bellissimo, devo ammettere che sono stata sempre una bambina “particolare” e ho dato filo da torcere a chiunque, genitori inclusi. Non mi sono mai accontentata della verità assoluta o di quella che ci veniva raccontata dagli adulti. Mi sono sempre posta delle domande, tra cui: “e se…?”. La criminologia è entrata così nella mia vita, senza accorgermene».
- In cosa consiste in concetto di crimine?
«Il concetto di crimine ci rimanda sempre alla visione di un fatto in cui c’è un soggetto che ha subito il crimine e colui o coloro che lo hanno commesso. Per me c’è stato sempre qualcosa di più. Ci sono delle vittime, che non riguardano soltanto le persone che hanno perso la vita; quando accade un crimine abbiamo perso su tutti i fronti, sociale, giuridico, educativo. E poi, c’è il cervello. Criminali si nasce o si diventa? Ho provato a spiegarlo nel mio secondo libro, ma le domande hanno risposte così aperte. E anche questo non è per forza un male».
- In cosa consiste il lavoro del criminologo?
«Il lavoro del criminologo è passione, è amore, è ricerca della verità. È una scienza così eterogenea che spesso sfocia in facili abusi e soprusi. Il nostro primo e unico obiettivo è coadiuvare gli altri professionisti per restituire la verità a qualcuno che ha perso una persona cara. Che si spengano pure i riflettori. Si lavori dietro le quinte. La vita di un essere umano merita rispetto».
- Quali sono i crimini più diffusi?
«Bisognerebbe distinguerli per zone geografiche, densità di popolazione, cultura. Ma un dato è certo: il crimine più diffuso è la violenza, che non sempre sfocia nella morte di un individuo. Violenza di genere, violenza psicologica, violenza economica, violenza morale. Ognuno di noi, nel nostro piccolo o grande mondo, può raccontare episodi di violenza tutti i giorni. Poi ci sono le tragedie familiari, dove i protagonisti sono i membri di un gruppo di individui uniti da legami di sangue che per qualsivoglia ragione decidono, consapevolmente o inconsapevolmente, di porre fine alla vita di un loro stesso appartenente alla famiglia. Nella maggior parte dei casi egli metterà in pratica questa azione in maniera efferata. Per non parlare dei crimini economici ed informatici che, nell’era digitale, hanno preso il sopravvento rispetto all’omicidio».
- Quali sono gli interventi di un criminologo all’interno di un carcere?
«La legge del 26 luglio 1975, n. 354, Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, segna l’inizio della cosiddetta riforma dell’ordinamento penitenziario. Essa rappresenta il frutto di una serie di riflessioni e di mutamenti ideologici in materia di diritto penitenziario che avevano già trovato espressione nella Costituzione Repubblicana (1948) in cui si afferma l’inviolabilità dei diritti umani (art. 2) e la necessità di realizzare trattamenti penitenziari ispirati al senso di umanità e volti alla rieducazione del condannato (art. 27). La pena perde le sue finalità meramente punitive e repressive acquisendo una valenza retributivo/rieducativa. All’interno di questo processo evolutivo si colloca l’introduzione di figure professionali quali quella dell’educatore (art. 82 L. 354/75), dell’assistente sociale (art. 81) e dell’esperto psicologo e criminologo (art. 80). Nello specifico l’articolo 80 stabilisce che l’amministrazione penitenziaria “può avvalersi, per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento di professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica”. Tali figure professionali si trovano, nel contesto carcerario, a dover mediare tra esigenze custodialistico/retributive ed esigenze riabilitativo/risocializzatrici. Ad oggi, i vincitori del 2015 del concorso presso i D.A.P. d’Italia, in qualità di esperti criminologi, psicologi e quanti altri, stanno vivendo il delicato momento di un ricorso promosso dall’Ordine Nazionale Psicologi. Dobbiamo attendere notizie in merito».