Vivere nel sociale può essere un problema come lo era per Antonio Ligabue. Il parere di uno psicologo

Vivere nel sociale può essere un problema come lo era per Antonio Ligabue. Il parere di uno psicologo

di Tiziana Mazzaglia @TMazzaglia

In riferimento alla mostra sull’artista Antonio Ligabue, ai cinquant’anni di anniversario dalla Sua morte, ho posto alcuni quesiti alla dott.ssa Francesca Boveri di Pavia. Il tema è la fobia sociale, ovvero, il disturbo d’ansia sociale, tipico di chi denota difficoltà nel comunicare con i suoi simili e si rifugia nella natura, fenomeno riscontrato nella vita di Antonio Ligabue.

 

Dott. Francesca Boveri.

Dott. Francesca Boveri.

In che cosa consiste la fobia sociale?

«La fobia sociale (dal 2014 ridefinita come Disturbo d’ansia sociale[1]) è un disturbo psicologico che si caratterizza per la presenza di una paura marcata e persistente delle situazioni sociali, ovvero delle situazioni in cui si è esposti alla presenza ed al giudizio di altre persone. Chi ne soffre è spaventato dal giudizio degli altri non solo in merito alle proprie azioni o prestazioni (scolastiche o lavorative), ma anche in relazione alla propria presenza in mezzo agli altri. Ad esempio, le persone che vivono questo tipo di problema possono provare una forte ansia quando devono parlare in pubblico, sostenere un’interrogazione, rivolgersi ad estranei, a persone che hanno un ruolo d’autorità o a persone del sesso opposto, mangiare in pubblico o anche solo stare in gruppo. In generale, provano un forte disagio quando si sentono potenzialmente osservate e giudicate (sensazione, questa, che sperimentano di frequente, proprio perché la temono). L’ansia tende a diventare anticipatoria, ovvero iniziare prima della situazione temuta, quando ci si aspetta di doverla affrontare: alla fine, la persona potrà sopportare la situazione provando molto disagio, oppure la eviterà completamente. La fobia sociale può essere specifica o generalizzata. Nel primo caso ci riferiamo ad un timore per una o poche situazioni sociali (ad es., il timore di parlare in pubblico), mentre nel secondo caso ci riferiamo ad una paura diffusa alla maggior parte delle situazioni sociali. In alternativa, questo disturbo può essere classificato in base al fatto che le situazioni evitate siano prevalentemente di tipo prestazionale (essere interrogati a scuola, parlare in pubblico, firmare, ecc. …) o relazionale (partecipare a gruppi, feste, conversazioni, ecc. …). La fobia sociale non è sovrapponibile alla timidezza: la timidezza non è un disturbo, ma una caratteristica della persona che può manifestarsi, ad esempio, come sensibilità o introversione, ma che difficilmente porta all’evitamento cronico, stabile e generalizzato delle situazioni sociali (o di alcune di esse). La persona timida vive la propria timidezza e la propria paura delle situazioni sociali come una normale difficoltà da affrontare e superare, mentre la persona che soffre di fobia sociale avverte la stessa paura come invalidante ed insormontabile, ricavandone un danno in termini di adattamento sociale, scolastico o lavorativo».

Quali sono i primi sintomi a cui bisogna prestare attenzione?

«I sintomi di questa problematica psicologica possono essere di tipo emotivo, cognitivo, comportamentale e somatico. A livello emotivo, la fobia sociale è caratterizzata da ansia intensa, preoccupazione ed agitazione all’avvicinarsi della situazione temuta, imbarazzo, vergogna; poi da vissuti di incapacità, di frustrazione e di tristezza al termine della situazione. A livello cognitivo, invece, la persona tenderà, ad esempio, a focalizzare la propria attenzione sulla propria ansia, a pensare che ciò che fa sia sbagliato e criticabile, sarà convinta di non poter affrontare le situazioni che teme, si sentirà spesso osservata da tutti e penserà – erroneamente – che gli altri, a differenza di lei, si sentono sempre a proprio agio e non provano ansia sociale. Il comportamento di chi soffre del disturbo tende sempre all’evitamento delle situazioni sociali temute. In generale, evitare il contatto oculare, scusarsi troppo o senza ragione, non riuscire a dire di no, cercare di non attirare l’attenzione, quasi di scomparire per non essere notati, sono altri comportamenti che potrebbero essere indice di disturbo d’ansia sociale. Infine, chi ha questo problema manifesta anche reazioni somatiche talvolta visibili all’esterno – come arrossamento del volto, balbettio, tremori, aumento della sudorazione, talvolta meno evidenti, ma ugualmente disagevoli, come tensione muscolare, nausea, disturbi intestinali, vampate di calore, batticuore o “gambe molli”. I sintomi visibili all’esterno, che possono costituire un primo campanello d’allarme, sono principalmente quelli di carattere comportamentale e somatico: gli evitamenti, in particolare, magari causati da malesseri fisici (non certo “inventati”, ma purtroppo sperimentati con reale disagio) che si ripresentano con regolarità in occasione di situazioni sociali più o meno specifiche possono costituire un primo indizio. Quando a manifestare questi sintomi è un ragazzo o un adolescente, il genitore può cercare di osservare con attenzione quello che accade, provando ad indagare con tatto la presenza degli ulteriori sintomi emotivi e di pensiero, per capire l’entità delle conseguenze del problema e valutare di richiedere un aiuto specialistico».

C’è un’età particolare in cui si manifesta? Ci sono episodi che possono provocarla?

«Il Disturbo d’ansia sociale esordisce prevalentemente tra gli 8 ed i 15 anni di età, sebbene, in modo meno frequente, possa iniziare a manifestarsi già dalla prima infanzia e, in casi rari, in età adulta. L’esordio può avvenire in conseguenza di un’esperienza stressante o umiliante, come essere vittima di bullismo nel caso di bambini o adolescenti. Se il disturbo si presenta per la prima volta in età adulta, è molto probabile che sia la conseguenza di eventi stressanti o di cambiamenti di ruolo sociale (per es., una promozione sul lavoro). D’altra parte, questa problematica può anche avere un esordio più lento ed insidioso e, tra i fattori predisponenti, quelli genetici e temperamentali rivestono un’importanza significativa: un bambino con tratti di inibizione comportamentale e paura della valutazione negativa tenderà più facilmente a sviluppare il problema confrontandosi anche con le normali esperienze di insuccesso e di rifiuto che tutti possiamo incontrare nella nostra vita. Infine, le caratteristiche legate all’ambiente possono contribuire all’insorgere del problema. Parliamo, per es., di genitori ansiosi, che involontariamente veicolano, nell’educazione del bambino, l’idea che le persone e il mondo in generale siano pericolosi, che sia giusto avere paura e preoccuparsi, ecc. … oppure che scoraggiano il comportamento esplorativo del figlio e riducono la sua possibilità di fare esperienze sociali perché favoriscono il suo rimanere in casa. Anche, l’ipercriticismo e l’eccessiva severità nei confronti del bambino possono favorire l’erronea convinzione di dover sempre essere all’altezza, di non dover commettere errori e di dover soddisfare sempre le aspettative degli altri, esponendolo ad una maggiore paura del giudizio sociale. L’isolamento sociale familiare e le esperienze infantili di abbandono e trascuratezza possono costituire ulteriori fattori predisponenti. Nel 30% circa dei casi, il disturbo d’ansia sociale regredisce spontaneamente entro un anno, ma in molti casi aspettare non è utile. Si stima infatti che il 60% delle persone che soffrono di questa problematica, se non riceve un trattamento specifico e mirato, si troverà a “convivere” con l’ansia sociale per molti anni1

 

Quali sono i rimedi?

«Costruire un ambiente familiare ed educativo privo dei fattori predisponenti di cui si è parlato e favorire esperienze di socializzazione serena del bambino, sia con i coetanei che con gli adulti, costituisce un primo passo importante di prevenzione dell’insorgenza del disturbo. Non sempre, però, è possibile attuare una prevenzione “a 360°”. Qualora il problema dovesse ugualmente presentarsi, i genitori che si accorgono di aspetti di ansia sociale che cominciano ad avere ripercussioni sulle relazioni o sul rendimento scolastico, possono rivolgersi ad uno psicoterapeuta per valutare l’effettiva presenza o meno del Disturbo d’ansia sociale e per seguire un eventuale percorso terapeutico specifico. La psicoterapia cognitivo-comportamentale costituisce un modello di intervento efficace ed accreditato dalla comunità scientifica. Essa consente di fronteggiare questo problema agendo sul fronte cognitivo, emotivo e comportamentale. A livello cognitivo, aiuta la persona ad individuare i modi di pensare che favoriscono l’ansia, per sostituirli con modalità realistiche, ma più adeguate e positive, che consentano di ridurre le preoccupazioni sociali, predisponendo la persona ad affrontare le situazioni temute. Un altro punto cardine del percorso è costituito dall’apprendimento di abilità sociali utili che l’individuo può non conoscere ancora o non aver sufficientemente consolidato (presentarsi, fare conversazione, dire di no, rispondere alle critiche, ecc. …). In questo modo, la persona sarà pronta ad esporsi alle situazioni sociali dotata di strumenti in più, che le consentano di sperimentare maggiori successi e di rafforzare, di conseguenza, la propria autostima».

 

 

 

[1]             Secondo la classificazione proposta dal Diagnostical and Statistical Manual of mental disorders 5 (DSM 5) dell’American Psychiatric Association, 2014

 

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